IL CONSIGLIO DI STATO 
                       in sede giurisdizionale 
                           (Sezione sesta) 
 
    Ha  pronunciato  la  presente  Ordinanza sul  ricorso  numero  di
registro generale 4806 del 2015, proposto dalla: 
        Autorita' garante della concorrenza e del mercato - AGCM,  in
persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata ex  lege  in  Roma,
via dei Portoghesi n. 12; 
    Contro la societa' Monteverde Calcestruzzi S.p.a., in persona del
legale   rappresentante   pro   tempore,   rappresentata   e   difesa
dall'avvocato Emilio Daniele Generoso, con domicilio eletto presso lo
studio Ernesto Grez in Roma, lungotevere Michelangelo n. 9; 
    Per l'annullamento della sentenza  del  Tribunale  amministrativo
regionale del Lazio, sede di Roma, sezione I, 25  febbraio  2015,  n.
3342, che ha pronunciato sul ricorso n. 2840/2014 R.G.  proposto  per
l'annullamento della deliberazione 10 dicembre 2013, prot. n.  24680,
notificata il giorno  13  gennaio  2014,  con  la  quale  l'Autorita'
garante della concorrenza e del mercato - AGCM  ha  rideterminato  in
euro 35.000 la sanzione  amministrativa  pecuniaria  posta  a  carico
della Monte  Verde  Calcestruzzi  S.p.a.  per  la  partecipazione  ad
un'intesa restrittiva della concorrenza ai sensi  dell'art.  101  del
Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione  europea  -  Trattato   sul
funzionamento dell'Unione  europea  ed  ha  altresi'  applicato  alla
stessa la maggiorazione dovuta ai sensi dell'art. 27, comma  6  della
legge 24 novembre 1981, n. 689, e  di  tutti  gli  atti  presupposti,
consequenziali, successivi e comunque connessi. 
    In  particolare,  la  sentenza  ha  annullato  il   provvedimento
impugnato nella parte in cui infligge alla Monte  Verde  Calcestruzzi
S.p.a una sanzione non proporzionata  alla  gravita'  e  alla  durata
dell'intesa; ha rideterminato la sanzione in euro 10.500 ed ha infine
annullato il provvedimento impugnato nella parte in cui  ha  ordinato
alla stessa  Monte  Verde  Calcestruzzi  S.p.a.  il  pagamento  della
maggiorazione di cui sopra; 
    Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; 
    Visto  l'atto  di  costituzione  in  giudizio  della   Monteverde
Calcestruzzi S.p.a; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 marzo 2019 il  Cons.
Francesco Gambato Spisani e uditi per le parti l'avvocato dello Stato
Lucrezia Fiandaca e l'avvocato Gabriele Pafundi per delega  dell'avv.
Emilio Daniele Generoso; 
 
                            Ritenuto che 
 
    1. Con  il  proprio  provvedimento  29  luglio  2004,  n.  13457,
l'Autorita'  intimata  appellante  ha  riscontrato   l'esistenza   di
un'intesa vietata, in quanto lesiva della  concorrenza,  fra  imprese
produttrici di calcestruzzo preconfezionato, intesa volta a ripartire
le forniture destinate a vari cantieri edili nella  zona  di  Milano;
l'Autorita' stessa, per quanto qui rileva,  ha  qualificato  l'intesa
come «molto grave» ed ha ritenuto che essa fosse stata mantenuta  dal
1999 alla fine del 2002; di conseguenza,  ha  irrogato  alle  imprese
partecipanti una sanzione  amministrativa  pecuniaria,  pari  per  la
ricorrente  appellata  a  euro  35.000,   e   nel   dispositivo   del
provvedimento ha ordinato  di  pagarla  entro  novanta  giorni  dalla
notifica del provvedimento stesso, ovvero novanta giorni dal 6 agosto
2004, ed ha avvertito in modo espresso che in mancanza  di  pagamento
entro un semestre dalla scadenza del termine assegnato, ovvero  nella
specie oltre il 5 maggio 2005, sarebbe stata dovuta la  maggiorazione
di cui all'art. 27, comma 6 della legge n. 689/1981, ovvero un decimo
dell'importo di sanzione in piu' per ogni semestre di ritardo. 
    2. Con sentenza sezione I, 2 dicembre 2005, n. 12835,  pubblicata
quanto al  dispositivo  n.  73/2005  il  giorno  23  marzo  2005,  il
Tribunale amministrativo regionale del Lazio sede di Roma, avanti  il
quale le imprese partecipanti, e fra esse  la  ricorrente  appellata,
avevano impugnato il provvedimento suddetto, ha accolto in  parte  il
ricorso relativo, e lo ha annullato «nella parte in cui  le  sanzioni
da esso inflitte non  risultano  proporzionate  ai  limitati  effetti
dell'intesa»  (cosi'  nel   dispositivo   stesso),   aggiungendo   in
motivazione che «la quantificazione delle sanzioni che hanno  colpito
le ricorrenti dovra' essere sotto questo profilo  annullata,  siccome
inficiata  da  una  sopravvalutazione  delle   conseguenze   pratiche
scaturite  dall'intesa,   ed   in   particolare   da   un'illegittima
qualificazione della stessa infrazione come "molto grave",  piuttosto
che in termini di gravita' semplice» (p. 68 in fine). 
    3. L'attuale ricorrente appellata ha a  suo  tempo  impugnato  la
sentenza  Tribunale  amministrativo  regionale   del   Lazio   - Roma
12385/2005, e il relativo appello  e'  stato  definito  con  sentenza
della sezione 29 settembre 2009, n. 5864, la quale,  per  quanto  qui
interessa,  ha  respinto  l'impugnazione  dell'Autorita'   intesa   a
sostenere la qualificazione dell'intesa come «molto grave», e  quindi
ha tenuto ferma la qualificazione di «grave» ritenuta  dal  Tribunale
amministrativo regionale (§ 6.3 della motivazione); ha poi accolto in
parte l'impugnazione dell'impresa, ritenendo (§ 6.1 in fine) che «gli
elementi  invocati  dall'Autorita',  sono  privi  anche  del   valore
indiziario e risultano quindi del  tutto  inidonei  a  dimostrare  il
proseguimento dell'intesa, la cui durata va quindi ridimensionata  al
periodo dal settembre 1999 al dicembre 2000» e di conseguenza che  (§
6.2)  «l'accertamento  della  minore  durata  della  sanzione   rende
inapplicabile la disciplina sanzionatoria prevista dall'art. 15 della
legge n. 287/1990, come modificato dall'art. 11, comma 4, della legge
5  marzo  2001,  n.  57,  non  essendosi  l'intesa   protratta   fino
all'entrata in vigore della novella». 
    4. Le due versioni della norma, ovvero dell'art. 15  della  legge
10 ottobre 1990, n. 287 succedutesi nel tempo, prevedono  un  diverso
trattamento sanzionatorio delle intese lesive della concorrenza; 
        4.1 l'art. 15, comma 2 della legge n. 287/1990 nel  testo  in
vigore dal 14 ottobre 1990 al 3 aprile 2001, prevede infatti che «Nei
casi di infrazioni gravi» relative ad intese lesive della concorrenza
o ad abusi di posizione dominante sul  mercato,  l'Autorita'  «tenuto
conto della gravita' e della durata dell'infrazione, dispone  inoltre
l'applicazione di una sanzione amministrativa  pecuniaria  in  misura
non inferiore all'uno per cento e non superiore al  dieci  per  cento
del fatturato realizzato  in  ciascuna  impresa  o  ente  nell'ultimo
esercizio  chiuso  anteriormente  alla  notificazione  della  diffida
relativamente  ai  prodotti  oggetto  dell'intesa  o  dell'abuso   di
posizione dominante, determinando i termini entro i  quali  l'impresa
deve procedere al pagamento della sanzione»; 
        4.2  lo  stesso  art.  15,  comma  2,  nel  testo  modificato
dall'art. 11 comma 4 della legge 5 marzo 2001, n. 57 e in vigore  dal
4 aprile 2001 al 3 luglio 2006,  prevede  invece  che  «nei  casi  di
infrazioni gravi» l'Autorita' «tenuto conto della  gravita'  e  della
durata  dell'infrazione,  dispone  inoltre  l'applicazione   di   una
sanzione amministrativa  pecuniaria  fino  al  dieci  per  cento  del
fatturato realizzato in ciascuna impresa o ente nell'ultimo esercizio
chiuso anteriormente alla notificazione  della  diffida»,  eliminando
quindi il minimo edittale della  sanzione  stabilito  precedentemente
fissato nell'un per cento del cd fatturato specifico,  ovvero,  nella
terminologia usata dalla norma, del fatturato realizzato dall'impresa
interessata  «relativamente  ai  prodotti   oggetto   dell'intesa   o
dell'abuso di posizione dominante». 
    5. Di conseguenza, l'Autorita' ha  avviato  con  atto  22  maggio
2013, prot. n. 24345 il procedimento per rideterminare  la  sanzione,
dando atto di voler procedere in contraddittorio con le parti,  sulla
base  della  diversa  qualificazione  dell'intesa   vietata,   ovvero
ritenendola «grave» e non «molto grave», e in applicazione del  testo
dell'art. 15, legge n. 287/1990 anteriore alla modifica operata dalla
legge n. 57/2001; con l'atto meglio  indicato  in  epigrafe,  ha  poi
concluso il  procedimento  e  applicato  la  sanzione  stessa.  Nella
motivazione  di  tale   procedimento,   ha   ritenuto   astrattamente
applicabile una sanzione  pari  all'1%  del  fatturato  specifico  di
riferimento  nel  calcestruzzo  dell'impresa  ricorrente   appellata,
ovvero ad euro 39.224,56, pari  appunto  all'un  per  cento  di  euro
3.922.455,89; ha poi dato atto che in tal modo si sarebbe operata una
non  consentita  reformatio   in   peius   rispetto   al   precedente
provvedimento, ed ha quindi determinato e applicato la sanzione nella
misura originaria di euro 35.000; ha infine ordinato il pagamento del
relativo importo  e  dei  maggiori  importi  a  suo  dire  dovuti  in
applicazione dell'art. 27,  comma  6  della  legge  n.  689/1981,  da
calcolare  sull'importo   della   sanzione   cosi'   determinato,   e
riconfermato nell'ammontare originario, per  il  periodo  di  ritardo
compreso dal giorno successivo alla scadenza del termine  in  origine
fissato per pagare la sanzione e sino al  giorno  di  deposito  della
sentenza 5864/2009, che le ha imposto di  rideterminare  la  sanzione
stessa (per tutto cio', si vedano la sentenza di I grado e  le  altre
di volta in volta citate pronunciate sulla vicenda). 
    6. Con la sentenza meglio  indicata  in  epigrafe,  il  Tribunale
amministrativo regionale ha accolto il ricorso proposto  dall'impresa
contro tale nuovo provvedimento sanzionatorio, e  in  dispositivo  ha
rideterminato la sanzione in euro 10.500, ritenendo invece non dovuta
la maggiorazione di cui si e' detto.  In  motivazione,  il  Tribunale
amministrativo regionale ha infatti ritenuto in primo  luogo  che  in
base ai principi  della  Costituzione,  come  integrati  dalle  norme
europee e dalle sentenze della Corte europea dei  diritti  dell'Uomo,
la sanzione si sarebbe dovuta rideterminare tenendo conto della norma
di  favore  introdotta  nel  2001  di  cui  si  e'  detto,  e  quindi
dell'eliminazione  del   minimo   edittale;   ha   quindi   proceduto
direttamente in tal senso,  fissando  l'importo  citato  come  a  suo
avviso  proporzionato  alla  gravita'   e   alla   durata   effettive
dell'intesa. In secondo luogo, ha  qualificato  la  maggiorazione  ai
sensi dell'art. 27, comma 6 della legge  n.  689/1981  come  sanzione
aggiuntiva, applicabile quindi solo in presenza dei presupposti della
esigibilita' della sanzione principale e del ritardo  imputabile  nel
pagamento di essa, presupposti che nel caso di specie ha ritenuto non
sussistenti. 
    7. Contro tale sentenza, l'Autorita'  ha  proposto  impugnazione,
con appello  che  contiene  cinque  censure,  corrispondenti  secondo
logica ai quattro motivi seguenti, che si riportano per intero a fini
di chiarezza: 
        con il primo di essi, corrispondente alla I censura  a  p.  7
dell'atto,  deduce  violazione  del  giudicato  rappresentato   dalla
sentenza 5864/2009, la quale avrebbe a suo dire a torto o  a  ragione
imposto di rideterminare la sanzione  tenendo  conto  dell'originario
testo dell'art. 15 della legge n. 287/1990, e quindi della previsione
di un minimo edittale della sanzione irrogabile; 
        con il secondo motivo, corrispondente alla seconda censura  a
p. 12 dell'atto, deduce violazione degli artt. 31, legge n.  287/1990
e 1, legge n. 689/1981,  sostenendo  che  l'applicazione  retroattiva
della norma piu' favorevole non sarebbe prevista dalle norme  citate,
ne' sarebbe imposta da norme  di  rango  superiore,  e  comunque  non
potrebbe avere le conseguenze ritenute dal  Tribunale  amministrativo
regionale, che corrisponderebbero alla non ammessa combinazione delle
due discipline, previgente e successiva; 
        con il terzo motivo, corrispondente alla terza censura  a  p.
13 dell'atto, deduce violazione dell'art. 15 della legge n. 287/1990,
ritenendo ad essa non conforme il ricalcolo della  sanzione  eseguito
dal giudice di I grado; 
        con il quarto motivo, corrispondente alle  censure  quarta  e
quinta alle pp. 17 e 21 dell'atto, deduce infine violazione dell'art.
27, comma 6 della legge n. 689/1981, nel senso  che  a  suo  dire  la
maggiorazione prevista da tale norma sarebbe dovuta non nei soli casi
di ritardo in qualche modo imputabile, ma per i meri  dati  oggettivi
dell'esigibilita'  della  sanzione  e  del  ritardo   ultrasemestrale
rispetto al termine assegnato per pagarla, e cio'  nella  materia  in
esame  sarebbe  imposto  anche   dalla   necessita'   di   assicurare
l'effettivita' delle sanzioni. 
    8. L'impresa appellata ha resistito, con atto  5  giugno  2015  e
memoria 7 marzo 2019, ed ha chiesto che l'appello sia respinto. 
    9. All'udienza del giorno 28 marzo 2019, la sezione ha trattenuto
il ricorso in decisione. 
    10. All'esito, la  sezione  ritiene  di  sollevare  d'ufficio  la
questione di legittimita' costituzionale della norma che  prevede  il
nuovo regime sanzionatorio, ovvero del sopra citato art. 11, comma  4
della legge 5 marzo 2001, n. 57, nella parte in cui  non  prevede  la
retroattivita'  della  norma  piu'  favorevole  da  essa  introdotta,
ritenendola rilevante e non manifestamente infondata. 
    11. In proposito, il Collegio osserva anzitutto che la  questione
e' rilevante, perche' le norme  citate  sono  certamente  applicabili
alla fattispecie oggetto del giudizio, nel senso voluto,  per  tutte,
dalle sentenze di codesta Corte 15 giugno 2016, n.  174  e  29  marzo
1983, n. 77. 
    11.1 La norma dell'art. 11 in esame nulla dice  di  esplicito  in
ordine alla sua possibile retroattivita'; nel silenzio,  deve  quindi
essere  ritenuta  non  retroattiva  in  conformita'  alla  previsione
generale dell'art. 1 della  legge  n.  689/1981:  in  tal  senso,  la
sentenza di codesta Corte 20 luglio 2016, n. 193, che come e' noto ha
respinto la relativa eccezione di incostituzionalita' sul presupposto
che la norma citata disponga nel senso della  irretroattivita'  della
disciplina sanzionatoria amministrativa piu' favorevole. 
    11.2  Cio'  posto,  come  e'  evidente,  se   la   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art.  11  nel  senso  visto  dovesse
essere dichiarata fondata,  i  motivi  di  ricorso  secondo  e  terzo
proposti dall'Autorita' appellante  dovrebbero  essere  respinti,  in
quanto la rideterminazione della sanzione operata dal  Giudice  di  I
grado si dovrebbe ritenere legittima; al contrario, se  la  questione
dovesse essere dichiarata non  fondata,  i  motivi  in  questione  si
dovrebbero accogliere. Infatti, la sanzione  cosi'  come  determinata
dal Giudice di I grado, pari come si e' detto a euro 10.500,  risulta
inferiore sia all'un per cento del fatturato specifico, ovvero all'un
per cento del  valore  di  euro  3.922.455,89  sopra  riportato,  sia
all'importo di  euro  35.000  applicato  dall'Autorita'  in  base  al
ritenuto divieto  di  reformatio  in  peius,  e  quindi  si  potrebbe
considerare legittima soltanto sul presupposto della inapplicabilita'
dell'art. 15 della legge  n.  287/1990  nel  vecchio  testo,  con  la
relativa previsione di  un  corrispondente  minimo  edittale  per  le
sanzioni del tipo in esame. 
    11.3 La conclusione sopra esposta non cambia  anche  considerando
il primo motivo di ricorso dedotto, secondo il quale la necessita' di
applicare  al  caso  di  specie  la  norma  dell'art.  15  nel  testo
previgente, e quindi l'esclusione della possibilita' di applicare  la
nuova norma piu' favorevole,  deriverebbero  non  direttamente  dalla
legge, incostituzionale  o  no  che  essa  fosse,  ma  dal  giudicato
contenuto nella citata sentenza n. 5864/2009  di  questo  Giudice,  e
quindi rappresenterebbe un effetto  conformativo  del  giudicato.  In
tale ordine di idee, la questione di costituzionalita' in  esame  non
sarebbe rilevante, perche' della norma  denunciata  non  si  dovrebbe
fare in realta' applicazione alcuna. 
    11.4 Ad avviso del Collegio, pero', tale ordine di  idee  non  va
condiviso, restandone confermata la rilevanza della questione. 
    11.5  La  sentenza  5864/2009  citata  in   motivazione   afferma
testualmente: l'accertamento  della  minore  durata  della  [condotta
passibile di] sanzione rende  la  disciplina  sanzionatoria  prevista
dall'art. 15 della legge n. 287/1990, come modificato  dall'art.  11,
comma 4, della legge 5 marzo 2001,  n.  57,  non  essendosi  l'intesa
protratta fino all'entrata in vigore della novella.... L'art. 1 della
legge n. 689 del 1981 (cui fa rinvio l'art. 31 della legge n. 287 del
1990) prevede che «Le leggi che prevedono sanzioni amministrative  si
applicano soltanto nei casi e per i tempi  in  esse  considerati»  in
virtu'  del  principio  di  legalita',  che  implica  il  conseguente
assoggettamento  della  violazione  alla  legge  del  tempo  del  suo
verificarsi, ed esclude l'applicabilita' della disciplina  posteriore
anche laddove piu' favorevole... Cio' comporta che l'Autorita' dovra'
rideterminare  la  sanzione,  tenendo  conto  anche  delle   seguenti
statuizioni... L'applicazione del previgente art. 15 della  legge  n.
287/90  dovra'  riguardare  tutte  le  odierne   imprese   appellanti
principali...» fra le quali, come e' pacifico, vi  e'  la  ricorrente
appellata (motivazione, § 6.2 e ss.). 
    11.6  Cio'  posto,  quanto  sostenuto   dall'Autorita'   intimata
appellante, nel senso della necessita' di qualificare la  fattispecie
in base alle norme indicate dalla sentenza passata in  giudicato,  e'
in generale condivisibile, dato che del giudicato, che copre come  e'
noto il dedotto e il deducibile, fa  parte  anche  la  qualificazione
giuridica dei fatti, cui dunque e' necessario attenersi per l'effetto
conformativo del giudicato stesso:  in  generale  sul  principio  per
tutte C.d.S. sezione VI, 6 agosto 2013, n.  4119  e  sezione  IV,  29
aprile 2005, n. 2032.  In  tali  termini,  quindi,  la  questione  si
potrebbe ritenere non rilevante perche' relativa ad un rapporto ormai
esaurito, che com'e' noto prescinde dalla  incostituzionalita'  delle
norme che lo regolano  per  ragioni,  in  sintesi,  di  certezza  del
diritto. 
    11.7 Questo Giudice ritiene peraltro che  nel  caso  concreto  la
soluzione debba essere diversa, sulla base  di  quanto  affermato  in
giurisprudenza in particolare da Cass. SS UU penali 7 maggio 2014, n.
18821 Ercolano e 14 ottobre 2014, n.  42858  Gatto  per  le  sanzioni
penali. Secondo tale  orientamento,  ai  fini  di  una  pronuncia  di
incostituzionalita' delle norme che lo disciplinano  il  rapporto  e'
esaurito non semplicemente quando su di esso si forma  un  giudicato,
ma soltanto con l'esecuzione dell'ultimo frammento di pena. In  altre
parole, la norma incostituzionale, sia essa una norma  incriminatrice
ovvero una norma attinente trattamento sanzionatorio, e' invalida fin
dal  momento  in  cui  e'  venuta  ad   esistere,   quindi   la   sua
incostituzionalita' puo' essere  comunque  fatta  valere  sin  quando
permane il rapporto esecutivo di essa, a prescindere dalla formazione
di un giudicato. Si osserva infatti  che,  a  ritenere  diversamente,
sarebbero pregiudicati valori diversi dalla certezza del diritto,  ma
pur  sempre  di  rango  costituzionale,  perche'  si  finirebbe   per
applicare una  pena  illegittima,  che  prescinde  dal  principio  di
responsabilita' personale e vien meno alla sua funzione rieducativa. 
    11.8 Ad avviso del Collegio, tali considerazioni  vanno  ripetute
anche per il caso in esame, in cui, per le ragioni di  cui  si  dira'
oltre, si  tratta  di  una  sanzione  amministrativa  di  sostanziale
carattere penale, per la quale il trattamento  processuale  non  puo'
essere  diverso.  Ne  viene  quindi  confermata  la  rilevanza  della
questione anche rispetto al primo motivo di appello,  perche'  se  la
questione stessa fosse dichiarata fondata,  del  giudicato  contenuto
nella sentenza n. 5864/2009 non  si  potrebbe  in  alcun  modo  tener
conto. 
    11.9  Per  completezza,  va  ricordato  che  la  rilevanza  della
questione  sussiste  anche  sotto  un  altro  profilo,   ovvero   per
l'impossibilita' di pervenire all'affermazione  della  retroattivita'
della norma piu' favorevole in esame per mezzo di  un'interpretazione
adeguatrice, in ipotesi conforme a Costituzione. E' infatti ben  noto
che ai  fini  del  giudizio  di  costituzionalita',  le  norme  vanno
considerate secondo l'interpretazione datane dal cd diritto  vivente,
ovvero dall'interpretazione datane dalla Corte di cassazione - in tal
senso, codesta Corte a partire dalla sentenza 30 aprile 1984, n.  120
- interpretazione che e' costante nel senso della non  retroattivita'
della norma sanzionatoria amministrativa piu' favorevole: per  tutte,
Cassazione civile, sezione VI, 28 dicembre 2011, n. 29411  e  sezione
I, 6 febbraio 1997, n. 1127. 
    12. La questione di legittimita' costituzionale di  che  trattasi
risulta  altresi'  non  manifestamente  infondata,   in   base   alle
argomentazioni esposte da codesta Corte nella gia' ricordata sentenza
n.  193/2016  e  nella  recente  sentenza  21  marzo  2019,  n.   63,
pronunciata su un caso  analogo,  argomentazioni  alle  quali  ci  si
richiama. 
    12.1 Codesta Corte ha in primo luogo evidenziato che un principio
costituzionale  di  retroattivita'  della  norma  sanzionatoria  piu'
favorevole opera per le sanzioni penali, cosi'  qualificate  in  modo
espresso  dal  legislatore:  ancorche'  non  lo  si  possa   ricavare
dall'art.  25  Costituzionale,  esso  infatti  si  desume   anzitutto
dall'art.  3  Costituzionale,  per  cui,  in  linea  di  massima,  e'
ragionevole che il medesimo fatto vada sanzionato nello stesso  modo,
sia stato commesso prima o dopo l'entrata in vigore della  norma  che
lo depenalizza  o  lo  punisce  in  modo  meno  severo:  cosi'  Corte
costituzionale 22 luglio 2011, n. 236 e 23 novembre 2006, n. 394.  Lo
stesso principio si fonda pero' anche  sull'art.  117  Costituzionale
nella parte  in  cui  esso  fa  assumere  rango  costituzionale  alla
identica previsione cosi' come ricavata dell'art. 7 della Convenzione
europea dei diritti dell'uomo - CEDU - firmata a Roma il  4  novembre
1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n.  848  -
dalla giurisprudenza della relativa Corte,  e  in  particolare  dalla
sentenza della Grande camera 17 settembre  2009  Scoppola:  cosi'  la
citata Corte costituzionale n. 236/2011. 
    12.2  Cio'  posto,  codesta  Corte  ha  affermato  che   identico
principio, sulla base degli artt. 6 e 7 Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali  e
quindi dell'art. 117 Costituzionale si deve affermare  anche  per  le
sanzioni formalmente qualificate come amministrative, ma assumano  il
carattere sostanziale di sanzioni penali sulla base  dei  cd  criteri
Engel, ovvero dei criteri elaborati dalla Corte europea  dei  diritti
dell'Uomo a partire dalla sentenza  Grande  camera,  8  giugno  1976,
Engel.  In  tal  senso  quindi  deve  essere  considerata  penale,  e
assoggettata al relativo regime giuridico, non solo la  sanzione  che
sia formalmente qualificata come tale, ma anche la sanzione la quale,
pur qualificata come amministrativa, protegga erga omnes  beni  della
collettivita'  ovvero  comporti  sanzioni  di  natura   e   severita'
sostanzialmente pari alla sanzione penale, ove i tre  criteri  appena
esposti sono alternativi e non cumulativi. 
    13. Applicando tali principi  al  caso  di  specie,  il  Collegio
dubita della conformita' dell'art. 11  in  esame  al  disposto  degli
artt. 3 e 117, primo comma, Costituzionale, quest'ultimo in relazione
all'art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali. La norma  infatti,  come  e'
del tutto evidente, da un lato protegge beni rilevanti per  tutta  la
collettivita' dei cittadini, come la  concorrenza  e  la  correttezza
nelle relazioni di  mercato,  e  dall'altro  prevede  sanzioni  della
stessa  natura  delle  sanzioni  pecuniarie  penali,  oltretutto  per
importi non trascurabili, ai quali si ricollega  una  notevole  forza
afflittiva.  Va  evidenziato  per  completezza  che  non  rileva   la
circostanza per cui, in via generale ed  anche  nel  caso  specifico,
queste sanzioni sono applicabili a imprese  costituite  in  forma  di
persone giuridiche: in proposito infatti va notato che un pregiudizio
al patrimonio della societa' viene comunque sopportato  dai  soci,  e
che l'ordinamento nazionale ha da lungo tempo abbandonato il concetto
tradizionale  della  non   responsabilita'   penale   delle   persone
giuridiche, alle quali attualmente sono applicabili sanzioni  penali,
proprio del tipo in esame, ovvero pecuniarie. Si tratta quindi di una
norma che prevede una sanzione sostanzialmente penale,  che  dovrebbe
essere  disciplinata  come  tale,  in  particolare  nel  senso  della
retroattivita' della norma sanzionatoria piu' favorevole. 
    14. Alla luce delle considerazioni che precedono, appare pertanto
rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita'
dell'art. 11, comma 4 della legge 5 marzo 2001, n. 57 nella parte  in
cui,  nell'introdurre  una  nuova  disciplina   sanzionatoria   delle
infrazioni gravi in materia di intese lesive della concorrenza  o  di
abusi di posizione dominante sul mercato, per le  quali  la  sanzione
pecuniaria  da  applicare  non  contempla  piu'  il  minimo  edittale
dell'uno per cento del fatturato specifico dell'impresa  interessata,
non abbia anche previsto che tale disciplina piu' favorevole  sia  da
applicare retroattivamente. 
    15. Ai sensi dell'art. 23, secondo comma, della  legge  11  marzo
1953, n. 87, il presente giudizio davanti al Consiglio  di  Stato  e'
sospeso fino alla definizione dell'incidente di costituzionalita'. 
    16. Ai sensi dell'art. 23, quarto comma,  della  legge  11  marzo
1953, n. 87,  la  presente  ordinanza  sara'  comunicata  alle  parti
costituite e notificata al Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
nonche' comunicata ai Presidenti della  Camera  dei  deputati  e  del
Senato della Repubblica.